Il ministro della via Gluck
Sembra che il Ministro delle Politiche Agricole Mario Catania abbia in cantiere un ddl con l’obbiettivo di arginare la cementificazione dei terreni agricoli, a suo dire responsabile della perdita di circa 5 milioni di ettari di superficie coltivabile negli ultimi 40 anni.
Obbiettivo invero piuttosto ambizioso anche perché, come fa giustamente notare Ettore Bonavista nell’articolo dal quale abbiamo spudoratamente copiato il titolo di questo post, un conto sono le cifre fornite alle agenzie, un altro sono le cifre reali, delle quali il ministero è perfettamente a conoscenza dato che sono state illustrate in un convegno del MIPAAF:
il cemento è colpevole di aver “impermeabilizzato” solo 1,5 milioni di ettari, cioè il 30%. Che non è poco, intendiamoci, ma ci sembra giusto sottolinearlo per distribuire meglio le colpe. Sotto accusa è finita la speculazione edilizia e altri manufatti; nessun cenno invece alla realizzazione delle infrastrutture, di cui l’Italia ha un disperato bisogno. (…)
Il restante 70% del suolo agricolo perso sono 3,5 milioni di ettari abbandonati dagli agricoltori. Marginali, poco produttivi, in zone impervie, è stato detto. Peccato lo stesso, visto che il metro per l’attribuzione dei fondi proposto dalla Commissione europea per la riforma che partirà nel 2014 è proprio l’ettaro. Contro il quale il ministro Catania, va riconosciuto, sta facendo una dura battaglia, sul cui esito sembra possa esserci anche qualche speranza di spuntarla. Quindi, sul banco degli imputati ci sono anche gli agricoltori che abbandonano i terreni. E non sempre sono quelli marginali, visto che l’Unione europea da una decina d’anni paga lautamente anche chi lascia i terreni a riposo e campa di rendita. Sempre ettari sottratti all’agricoltura sono.
Quindi, se tanto mi da tanto, a fronte di 1,5 milioni di ettari sottratti all’agricoltura dal cemento, ve ne sono 3,5 restituiti dall’agricoltura agli ecosistemi naturali. Non mi sembra una situazione che dovrebbe destare particolare allarme, dato che l’abbandono dei terreni marginali e improduttivi è uno degli aspetti (positivi) dell’intensificazione agricola: produrre di più utilizzando meno superficie.
Per andare poi alle misure contemplate nella proposta di Catania, si propone l’istituzione di un tetto massimo di ettari agricoli la cui destinazione d’uso può essere convertito in terreni edificabili, suddiviso poi tra le regioni e quindi tra i comuni. Una pacchia straordinaria per tutti coloro che, dai politici ai funzionari pubblici locali, si troverebbero ad intermediare permessi, vincoli e deroghe. Un sistema criminogeno, al quale si sommerebbe l’esclusione dai permessi di tutti quei terreni che negli ultimi dieci anni hanno beneficiato di sussidi pubblici nazionali o comunitari. Ovvero tutti. Esclusione formale, quindi, e sottoposta senz’altro al solito mercato delle deroghe. Splendido.
Il tutto senza considerare che, se è il prezzo il miglior veicolo di informazione sulla quantità di beni disponibili, tutto farebbe presumere che in Italia la qualtità di terreni edificabili è decisamente scarsa, e se ci sono provvedimenti da prendere, questi dovrebbero andare nel senso della liberalizzazione piuttosto che dell’ulteriore contrazione dell’offerta.
E sempre a proposito di terreni agricoli, sembra che della famosa cessione dei terreni demaniali non se ne faccia più nulla. Chi l’avrebbe mai detto?
Entro il 30 giugno doveva essere pronto il decreto attuativo con l’elenco dei terreni da dismettere. Un intervento che avrebbe avuto un impatto positivo non solo per gli agricoltori, soprattutto under 40, ai quali è stata riservata una corsia preferenziale, ma anche per le casse statali. Invece il provvedimento è congelato. Dal monitoraggio con il Demanio sarebbe emerso che in realtà di terreni statali ce ne sono davvero pochi. E poi ancora non è stato chiarito chi deve gestire l’operazione.
Ma guarda. Eppure forse ricorderete che a novembre un piccolo ed insignificante blog aveva espresso, in beata solitudine (qui e qua), qualche dubbio tanto sulla reale consistenza di questi terreni, quanto sulle reali possibilità di ritorno economico per l’erario, al di là delle cifre demenziali sparate ai quattro venti dai nostri amici con le bandierine gialle e rilanciate a pappagallo dai giornali. Pazienza. Dovremo quindi aspettarci che il tormentone della cessione dei terreni demaniali torni ad essere uno dei supplizi a cui verremo sottoposti ad ogni vigilia di campagna elettorale, come avviene almeno da quando abbiamo memoria.
Se questi sono i Tecnici, poca meraviglia che l’Italia si trovi come si trovi
Mario Catania non è un tecnico. E’ un alto dirigente del Ministero di chiara ispirazione coldirettiana
“dato che l’abbandono dei terreni marginali e improduttivi è uno degli aspetti (positivi) dell’intensificazione agricola: produrre di più utilizzando meno superficie.”
Sicuro che sia sempre un aspetto del tutto positivo ?
Dipende da dove e come questo succede ..in determinate aree questa minor superficie sovente è coltivata in monocoltura, riceve un carico di fertilizzazione azotata ,reflui zootecnici e prodotti fitosanitari più elevato …
La sottrazione è fatta da u minuendo e da un sottraendo. Si parla tanto di sottraendi, ma se non si conosce il minuendo come si fa a dire qual’è la differenza?
Segnalo che è la differenza che conta ciòè quanta superficie agricola utile rimane da coltivare, come lo si coltiva, cosa vi si coltiva e quanto produce(unitariamente s’intende) che è importante.
Quando si decide il ministro dell’agricoltura a dirci queste cose? O la Coldiretti glielo proibisce. Come si fa a dire che la superficie media per azienda è di 8 ettari se non si conosce il dividendo (ammesso che il divisore non sia fasullo anch’esso).
Sarebbe ora di fare la fotografia reale dell’Italia agricola, perchè quella che ci mostrano è fasulla.
Sig. Ministro cosa ci sta a fare?
@Giorgio M:
Quel che dici è a volte vero, ma bisogna sfatare alcuni luoghi comuni: per esempio, non è affatto vero che l’intensificazione agricola significa monocoltura. In qualche caso sì, ma è molto più probabile che la monocoltura sia presente in sistemi produttivi estensivi e inefficienti, o laddove la dimensione delle aziende è troppo piccola per consentre una sufficiente diversificazione colturale. In ogni caso è un altro problema, dato che la monocoltura non è una cosa positiva o negativa in sé, ma la semplice risposta alle esigenze del mercato.
Quanto alle eccessive fertilizzazioni o uso di fitofarmaci, anche qui, dipende da zona a zona. Negli ultimi tempi il miglioramento genetico, specie gli OGM, hanno ridotto l’uso di fitofarmaci per unità di superficie (certo, solo laddove hanno la fortuna di poterli usare). Comunque un’agricoltura efficiente e sostenibile dal punto di vista ambientale è un’agricoltura in grado di ridurre gli imputs produttivi per ridurre i costi migliorando le rese.