Authority all’italiana: l’Antitrust e il settore bieticolo saccarifero nel racconto di un protagonista
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Premessa storica
La bietola da zucchero come pianta agraria non esisteva appena 200 anni fa. Al suo nascere gli zuccherifici s’incaricarono di migliorare il contenuto in zucchero e di far produrre il seme per distribuirlo agli agricoltori per le semine. Per creare la bietola da zucchero si è dovuto farla divenire a ciclo biennale e quindi per farle produrre seme si doveva conservare la radice dell’anno precedente e ripiantarla l’anno seguente. Pertanto il seme aziendale, nel senso di autoprodotto in azienda, non è mai esistito perché l’agricoltore non era capace di produrselo, come invece faceva con il frumento. Le radici che lo zuccherificio sceglieva per fare il seme le affidava agli agricoltori più all’avanguardia per far loro produrre il seme per loro conto. Queste famiglie di agricoltori dei primi secoli dell’800 diedero il nome alla marche di seme in quanto si appropriarono delle tecnica di produzione e miglioramento e divennero vere e proprie case sementiere. I loro clienti esclusivi rimasero gli zuccherifici, per evidenti motivi di facilità di vendita delle loro produzioni.
L’Italia rimase per almeno un cinquantennio tributaria di seme bietole prodotto all’estero, cioè laddove è nata per prima la bieticoltura. Successivamente le società saccarifere italiane si dotarono anche loro di ditte sementiere proprie, ma queste produssero sempre seme di qualità inferiore alle marche estere e quindi per farlo seminare ai bieticoltori dovevano ricorrere alla coercizione. Con l’avvento del Mercato Comune Europeo, lo zucchero e la bieticoltura furono rette da un mercato comune ad hoc, in quanto l’Europa produceva uno zucchero molto più caro dello zucchero di canna e quindi doveva essere protetto, le risorse le ricavava facendo, però, pagare la derrata molto più cara ai consumatori europei.
In Italia la coltivazione era ancora più protetta perché il clima non favoriva la coltivazione (ciclo di accumulo di zucchero più corto) . Ciò, a partire dall’entrata in vigore del Mercato Comune, determinò in Italia dei cicli caratterizzati da non corrispondenza tra domanda e offerta di materia prima da trasformare. Ciò era determinata dal prezzo pagato per la bietola che variava in funzione delle decisioni in sede comunitaria, ma soprattutto dalle parità monetarie. In altri termini quando la coltivazione era poco concorrenziale, l’offerta di prodotto da trasformare era insufficiente e quindi aumentava il potere contrattuale degli agricoltori, mentre quando la coltivazione diventava concorrenziale (svalutazione della lira e provvedimenti comunitari favorevoli) allora l’offerta era superiore alla domanda (la produzione era sottoposta a quote di produzione) e il coltivatore perdeva il suo potere contrattuale. Nei momenti di aumento di potere contrattuale da parte del coltivatore, il rifornirsi di seme presso lo zuccherificio per il coltivatore non era più un obbligo perché lo zuccherificio purché si coltivasse tollerava e il bieticoltore preferiva servirsi sul mercato libero in quanto poteva scegliere varietà più confacenti (varietà che producevano maggiori quantità di radici anche se un po’ a scapito della ricchezza zuccherina) e che lo zuccherificio non voleva mettere a disposizione dei coltivatori. Negli anni 1970-80 per le ragioni suddette il mercato del seme bietole si era completamente liberalizzato e l’agricoltore poteva fare scelte autonome e contrattare i prezzo di cessione del seme, anche perché il commercio libero usava proporre seme scontato come traino per vendere un “pacchetto” di prodotti (concimi e prodotti di trattamento).
Creazione dell’organizzazione monopolistica e monopsomistica
La legge 88 del 1988 relativa ai contratti interprofessionali, fu usata, in accordo con le Associazioni sindacali bieticole (coinvolte nella commercializzazione del seme bietole, da cui prima si erano autonomamente escluse), per riportare il commercio del seme bietole all’interno della sola filiera e furono escogitate clausole e regolamenti tali da essere coercitive sia per i bieticoltori che per i fornitori di seme bietole. Da allora in poi tutte le società saccarifere si dotarono di rappresentanze in esclusiva di ditte sementiere estere (ormai il materiale genetico italiano era stato accantonato per manifesta inferiorità) e lo stesso fecero tutti le Organizzazioni sindacali dei bieticoltori, che in Italia erano una pletora, ma solo per finanziare la loro struttura burocratica, non certo per offrire un servizio. Occorre far notare che le varietà di seme bietole sono praticamente indistinguibili e quindi lo stesso materiale può essere venduto sotto denominazioni diverse. E’ comprensibile allora che la ditta sementiera che dava una rappresentanza ad una associazione sindacale o ad una società saccarifera, usando lo stratagemma suddetto, era favorita due volte: 1° perché vendeva le varietà concesse in esclusiva , 2° perchè vendeva agli esclusivisti in situazione di forza le varietà del suo marchio, che permanevano migliori di quelle date in esclusiva, appunto per i rapporti commerciali preferenziali intrattenuti. Non solo ma per mantenere la nuova struttura e per lucrare la posizione dominante creatasi, si pensò bene stabilire una lista di acquirenti di seme bietole autorizzati limitata ai soli zuccherifici e alle sole associazioni, di fissare un prezzo di cessione all’agricoltore unico e particolarmente elevato per tutto il settore e quindi lucrare margini sostanziosi. Inoltre era stata stesa una lista limitata di varietà seminabili, pena rifiuto del contratto, che escludevano molte varietà e tra queste tutte quelle dei sementieri non ammanicati; unitamente a ciò si decretò anche una lista di distributori autorizzati ligi alla direttive che ricevevano, pena l’esclusione, con conseguente eliminazione di molti tenutari di licenza di commercio di prodotti agricoli, che si vedevano così privati di fonti di guadagno a cui per legge avevano diritto.
Evidentemente in un contesto di questo genere tutte le ditte sementiere di bietola da zucchero, che non avevano instaurato rapporti con la filiera suddetta ed erano esclusi si trovavano messi fuori dal mercato, non solo, ma per poter vendere anche minime quantità di seme ai limitati e obbligati acquirenti autorizzati si dovevano praticare sconti ulteriori, dato appunto lo scarsissimo potere contrattuale. Tali sconti poi andavano a rimpinguare i guadagni degli “eletti”. Il colmo si raggiungeva in quanto gli zuccherifici e le associazioni bieticole erano clienti e concorrenti nello stesso tempo in quanto si scambiavano il seme tra di loro (io acquisto del tuo se tu compri del mio) e quindi le vendite scontata andavano a finanziare un concorrente. In altre parole si creò un monopolio in acquisto ed uno altrettanto in vendita del seme bietole, non solo ma si sfruttò monopsomicamente il fatto che il coltivatore di bietole non poteva che vendere il suo prodotto ad uno zuccherificio e questi non si facevano concorrenza.
Denunce
Nel 1990 era stata istituita l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (legge 287/90) ed allora partirono le prime segnalazioni (perfino da parte di un sindacato escluso, che appena riammesso divenne il più strenuo difensore del sistema) da parte di sementieri e da parte di organizzazioni di commercianti. Solamente che i sementieri erano sotto ricatto e quindi non potevano esporsi più di tanto e comparire come denuncianti. Io ero uno di questi e quindi feci da “consulente nascosto” nel redigere i dossier di altri, anche perché conoscevo la legislazione europea e di altri Stati membri dell’UE. Non solo ma ho redatto anche vari dossier conoscitivi, purtroppo anonimi, per scalzare le tesi degli zuccherifici, che erano state accolte in Autorità Garante. Essi che affermavano che l’organizzazione era stata messa in atto per salvaguardare una filiera che non reggeva la concorrenza nei confronti delle altre nazioni bieticole. Infatti, dato che avevo fatto miglioramento genetico, ben sapevo che il pretendere di disporre di varietà tolleranti alle due malattie che più seviziavano le coltivazioni italiane (rizomania e cercospora), ma non quelle europee, avrebbe comportato per il coltivatore diminuzioni di produzione insopportabili. Ciò si realizzò puntualmente e dopo la debacle del 2006 queste varietà non furono più adottate e la produzione aumentò. Inoltre si chiedeva che queste varietà ce le facessero le ditte sementiere estere che non erano a quel tempo interessate a questo tipo di varietà, anche perché per loro il mercato italiano era divenuto, a causa dell’organizzazione instaurata, molto poco redditizio. Correva allora, negli ambienti saccariferi europei, il seguente modo di dire che: “gli italiani vogliono varietà di bietole da zucchero che dovevano resistere a tutto….. anche alla produzione”. A forza di insistere con dossier e audizioni finalmente nel 1995 il Presidente Amato, fino ad allora totalmente sordo, anche a seguito di sollecitazioni di suoi funzionari, (a qualcuno venne tolto l’incarico) decise di indire un’indagine conoscitiva sul settore.
Indagine conoscitiva, audizioni, risultanze e chiusura
L’indagine conoscitiva fu catalogata con la sigla I 16. Iniziarono pertanto varie serie di audizioni e richieste di consulenze il cui elenco è indicato in premessa del testo della I 16 a pag. 7. Io fui ascoltato il 23 gennaio 1998 ed essendo stato convocato d’autorità ed avendo perso gran parte del mercato che avevo conquistato nel decennio precedente, resi edotti i funzionari di ciò che era stato perpetrato, suscitando la loro sorpresa nel conoscere fatti a loro oscuri. Anzi mi chiesero perché non li avessi denunciati, al che io risposi che Don Chisciotte era già nato e sapevamo che fine avesse fatto. Non solo ma mostrai loro le copie dei molti dossier inviati anonimamente e chiesi loro perché non li avevano letti. Risposero che erano anonimi, ma io mostrai che vi era spiegata la ragione, tuttavia aggiunsi che se li avessero letti avrebbero imparato molte cose del settore molto tempo prima. Inoltre l’indagine conoscitiva fu chiusa ben quattro anni dopo, prolungando lo stato di fatto instauratosi nel settore per ben 10 anni. Il che è chiarificatore di quali garanzie si può ricevere da un’Autorità Garante da parte di operatori economici sottoposti ad abusi. Il giudizio dell’Autorità Garante avviene solo “post-mortem”. Il testo di chiusura dell’indagine è disponibile a questo link scaricando il pdf allegato che invito calorosamente a leggere perché è uno spaccato di insipienza di politica agricola e di programmazione agricola; spaccato che è rimasto immutato ancora oggi e riporta in modo lapalissiano quanto tutti avevano denunciato da tempo e che quindi è stato verificato dall’Autorità Garante:
- Al punto n° 21 si dice:
che la scelta varietale non incide univocamente sulle permormaces produttive.
Il sistema di distribuzione controllato del seme non ha inciso sulla produttività decennale 1989-1999 del comparto bieticolo.
- Dal punto 23 al punto 39 l’indagine
si occupa delle costrizioni indotte dalla legislazione comunitaria e delle relazioni verticali all’interno della filiera produttiva, ma nessuna risultanza giustifica l’esercizio di posizione dominante e di limitazione della concorrenza per quanto riguarda la commercializzazione del seme bietola.
- Solo dal punto 40 al punto 51 si prende in considerazione la distribuzione del seme bietola e si afferma:
- 1. il sistema di distribuzione concepito determina conseguenze significative sulla dinamica concorrenziale, limitandola.
- 2. Si limita la libertà imprenditoriale degli operatori agricoli e s’impedisce la trattazione del prezzo.
- 3. Se può risultare funzionale la programmazione varietale non si comprende però perché debbano essere imposti luoghi e condizioni uniche di acquisto. Il sistema uniforma le varie voci di costo variabile della coltivazione, riducendone la competizione e quindi non seleziona le aziende agricole più efficienti. La concentrazione delle trattative non ha neppure dimostrato di essere stata capace di ridurre il prezzo medio del seme.
- 4. Il sistema influenza i meccanismi competitivi determinando un netto vantaggio concorrenziale per le ditte sementiere possedute o collegate ai due soli soggetti acquirenti, che, tra l’altro, risultano aver incrementato significativamente le loro quote di mercato ed inoltre le ditte sementiere perdono potere contrattuale in quanto non possono, in sede di trattativa, modulare gli sconti in funzione di vendite di quantità via via crescenti. Ciò determina un coordinamento orizzontale delle offerte di vendita di seme che va a scapito dell’agricoltore. Infatti ciò rende superflua ogni concorrenza tra le ditte sementiere. Queste condizioni spiegano anche perché varietà a comportamento produttivo similare sono usate in quantità enormemente differenti
- 5. si sono evidenziati comportamenti nel commercio del seme bietola che generano effetti distorsivi che non sono strettamente prescritti dalla regolamentazione comunitaria e nazionale.
- 6. Come ultimo si dice che addurre a motivo della restrizione della concorrenza la salvaguardia della qualità del seme non sembra essere verificabile in pratica in quanto non sono visibili miglioramenti significativi nei parametri di rendimento settoriale.
Conclusioni
L’indagine conoscitiva pur avendo:
- verificato tutto quanto era stato denunciato, riscontrata la presenza di effettivi comportamenti di posizione dominante ed effetti lesivi della concorrenza con conseguenze patrimoniali gravi a certi operatori,
- affermato chiaramente che la regolamentazione comunitaria era sì pervasiva sul settore, ma non implicava nessun obbligo nel campo del commercio del seme bietola,
pilatescamente non prende nessun provvedimento, anzi decide di inviare l’indagine conoscitiva alla Commissione UE, all’UE ed al Governo, riservandosi di valutare gli spazi per eventuali provvedimenti. La valutazione di questi spazi o non è mai stata fatta o se fatta si è deciso di tenere il noto comportamento delle tre scimiette della tradizione orientale.
Post Scriptum
Personalemnte sono ricorso anche alla Direzione della concorrenza a Bruxelles, invitandoli a valutare l’indagine ed esprimere un parere sul comportamento della filiera bieticolo saccarifera italiana. Il funzionario incaricato dalla mia denuncia, che era spesso fuori ufficio….., dopo vari colloqui mi ha detto che vi era materiale per intervenire, ma dovevo nominare un avvocato autorizzato a tutelare cause nell’UE se volevo che la mia pratica avanzasse, al che io ho risposto che quanto era avvenuto in Italia mi aveva privato delle risorse finanziarie per sostenere la spesa.
La risposta è stata che allora era obbligato a chiudere la pratica. Ho però avuto la soddisfazione dopo poco tempo, di vedere crollare la filiera bieticola saccarifera italiana ed il motivo principale del gap produttivo accumulato è da ricondurre alla eccessiva protezione accordata ad un settore mai diversificatosi e senza concorrenza, generando così l’accettazione di comportamenti tipici di una “Repubblica delle Banane”. Non sono il solo che la pensa così, ma prima di me lo ha esternato Luigi Einaudi nel 1947 a proposito di dazi alle frontiere richiesti dall’industria saccarifera: “….penso che un’industria nata nell’800 non possa pretendere la stessa protezione di quelle nuove, pertanto il diritto di confine sostiene solo un’industria invecchiata, ma che invecchiando si è rimbambita!”
è una vicenda triste e al tempo stesso tipica del nostro paese. Fare impresa in queste condizioni è improbabile.
Questo episodio va nell’elenco dei vari motivi per cui in Italia non si investe e non si migliora (assieme all’oscurantismo sugli OGM, illegalità nei pagamenti contanti, privatizzazioni farsa, proprietà privata non protetta, monopoli statali e parastatali, prezzi fissati per legge, ecc…). Dopo tutti i danni che fanno la burocrazia e il fisco, usano come capro espiatorio l’evasione fiscale.
mi pare che si dimentichi una cosa fondamentale,a partire dal 1962 molti produttori si sono organizzati in cooperativa per trasformare le proprie bietole in zucchero.oggi quella cooperativa, COPROB, ha più di 5700 soci produttori, è da una decina d’anni leader nella produzione di zucchero italiano (peraltro nel frattempo massacrata dalla riforma dell’OCM) ed ha ha debellato lo strapotere della grande industria saccaifera privata che non esiste più e quello delle associazioni bieticole, ogg quasi marginali, perchè la cooperativa non ha bisogno di loro
w.w.
Walter
Io l’ho visto nascere il CoproB ed il CoproA solo che prima è stata creata la cooperativa e poi i soci. E’ solo merito di gente come Zaccarini ed il Presidente di allora se il CoproB è divenuta una famiglia di soci che ha funzionato , ma che per il solo fatto di funzionare bene è stata boicottata, non assegnandole mai quote sufficienti ad espandersi. Il, CoproA invece che non è stata un’iniziativa di soci, ma calata dall’alto come il Copro, e non avendo trovato trovato dirigenti all’altezza ha fatto la fine che ha fatto. La politicizzazione poi ha fatto il resto.
Ti vorrei segnalare che mentre noi abbiamo salvato una cooperativa su due e monofabbrica, in altri paesi nello stesso lasso di tempo l’industria saccarifera è divenuta per il 60/70 e 100% cooperativa. I bieticoltori sono diventati cooperatori in quanto hanno comprato le fabbriche dal privato e le hanno chiuse solo per ristrutturare i comprensori.
Il tuo giusto intervento dimostra in modo lampante che solo la cooperazione ben diretta poteva salvare la filiera italiana dello zucchero, infatti come tu affermi lo ha fatto, ma haimè su solo una microfilera in quanto alla cooperazione non è mai stato dato spazio..
Hi great readiing your blog