Fuori controllo a chi?
Il decreto che ho firmato oggi consente l’operatività in Italia del pacchetto latte dell’Ue e rappresenta un traguardo rilevante per il settore. Il provvedimento permette la contrattazione collettiva da parte delle organizzazioni di produttori per la consegna di latte crudo, in deroga alle norme sulla concorrenza. Peraltro la previsione di una forma obbligatoria di contrattazione scritta per le consegne ai primi acquirenti è in linea con quanto stabilito anche per gli altri prodotti agroalimentari nell’art.62 della legge sulle liberalizzazioni. Si introduce, poi, la programmazione dell’offerta dei formaggi Dop e Igp, prima non consentita. Si tratta di una norma importante, soprattutto in vista della fine del sistema delle quote latte, per evitare che il mercato vada fuori controllo.
Mario Catania, Ministro delle politiche agricole, 12/10/2012
Ciò che ci sembra fuori controllo, definitivamente, è la pretesa della politica di usare ogni strumento legislativo a disposizione per frustrare le già scarse opportunità di crescita dell’economia italiana e scoraggiare gli investimenti, anche nei settori a più alto valore aggiunto come l’agroalimentare di qualità.
Tutto ciò sia attraverso le organizzazioni professionali che continueranno sfacciatamente a stabilire i prezzi all’origine “in deroga alle norme sulla concorrenza” (che si applicano, evidentemente, solo ai fessi), sia attraverso intollerabili interventi di programmazione (leggasi “contrazione”) dell’offerta di prodotti finiti.
Come nel caso del vino, le Denominazioni d’Orgine non dovrebbero avere altra funzione se non quella di garantire il consumatore sul fatto che un prodotto provenga da un determinato luogo, e sia stato prodotto secondo determinate regole alle quali il produttore sceglie di sottostare. Come nel caso del vino, oggi viene estesa anche ai consorzi di tutela dei formaggi Dop e Igp la possibilità di imporre ai produttori il blocco in magazzino di determinate quantità di prodotto, al fine di contrarre l’offerta e conseguentemente far alzare i prezzi.
Si tratta, né più né meno, di un modo per proteggere chi non è in grado di stare sul mercato dalla concorrenza degli imprenditori sani, di coloro che non hanno problemi a vendere i loro prodotti, magari perché hanno passato più tempo ad investire, innovare e aprirsi a nuovi mercati, piuttosto che a corteggiare l’assessore di turno.
Il tutto a spese dei consumatori che pagheranno prezzi maggiori per prodotti equivalenti. Ma potremo sempre continuare a prendercela col “mercato fuori controllo” e con l’eccesso di libertà economiche di cui sarebbe affetto questo disgraziato paese, a cominciare dalle prossime elezioni.
sarebbe interessante capire perche’ l’agricoltura rappresenta una forza cosi magnetica per tutto quello che al di fuori di essa non sarebbe tollerato. Ci deve essere una spiegazione, ma io non la trovo.
Nel frattempo il governo si e’ affrettato a cancellare la norma che dal 2007 consentiva alle societa’ di capitali di ricorrere a tassazione sulla base del reddito catastale, lasciando la possibilita’ solo alle ditte individuali e alle societa’ semplici. La norma era stata introdotta per favorire la capitalizzazione delle aziende e il loro ingrandimento, cosa che ovviamente oggi non deve preoccupare piu’ il legislatore. Meglio avere piccoli contadini, ognuno col suo fazzoletto di terra, ognuno preso per mano dai sindacati agricoli dai quali tutto passa attraverso i quali tutto si filtra. E ovviamente, ognuno col suo piccolo voto, da portare in una mano, con il cappello nell’altra.
Eh certo, sono stati anni d’oro, vero? Aziende con valori aggiunti enormi, nate e sviluppatesi grazie al pompaggio di enormi masse di denaro pubblico per terreni, impianti, attrezzature, marketing, che pagavano le tasse come me, contadinucolo con il mio fazzolettino di terra.
Proprio un bel vedere.
bacillus,
“nate e sviluppatesi grazie al pompaggio di enormi masse di denaro pubblico per terreni, impianti, attrezzature, marketing”
si deve deurre che lei ha fatto tutto a spese sue?
o che non ha fatto nulla di quanto sopra?
e avranno più inciso le centinaia di aziende come sopra o i milioni di contadinucoli come lei?
gigetto… Infatti, le posso comunicare in anteprima che avendo ricevuto cinque anni fa la cifra di 25 k€, depurata dagli oneri di sistema, (fidejussioni e balle varie), io non ho fatto tutto a spese mie.
Le posso dire anche, che mentre io incassavo quegli straordinari capitali, c’era gente che pagava meno oneri contributivi di me per il solo fatto di essere stata inserita senza il mio parere in determinate “zone svantaggiate” che non erano le mie. E che nel frattempo incassava i miei stessi “items” contributivi moltiplicati per dieci perché trattavasi di zone sfigate, collinose, ampiamente apprezzate dal turismo, dall’interesse enogastronomico, ecc..
Le posso dire, per dire, che la mia attività extragricola (sì, faccio anche un mestiere “normale”) viene tassata in modo violentissimo, deprimente, senza senso.
Le posso dire, dunque, che i privilegi di cui l’imprenditore agricolo gode è qualcosa che andrebbe analizzata con calma…
La lagna è ora di finirla.
La lagna non l’ho iniziata io.
E sono completamente d’accordo al 50%
Ma se privilegi sono, andrebbero eliminati per tutti
p.s. anche il mio mestiere “normale” è tassato come sopra. E allora? Devo per questo pensare che ha ragione il ministro?
Che strano, io quando faccio dei contratti con dei fornitori indichiamo sempre quantità e prezzo pattuito, prima di provvedere alla consegna ovviamente.
Quindi continuo pervicacemente a non vedere il problema quando questo accade nel settore agricolo, se non che il semplice inneggiare al liberissimo mercato con i prezzi fatti solo dopo la consegna sia un modo per scaricare sul mondo produttivo le inefficenze di tutto il resto della filiera.
Sul blocco delle produzioni a Denominazione insisto sul punto che se uno ritiene di avere un buon prodotto non ha bisogno di iscrivere il suo vigneto alla doc sottoponendosi quindi ai disciplinari o di fare per forza il Parmigiano Reggiano.
Siamo per l’appunto in un libero mercato e quindi può tranquillamente farlo, ma se invece riesce a vendere solo perchè utilizza un brand che appartiene al consorzio se ne faccia un perchè.
Ma devo proprio sempre ritornare su queste banalita?
Ah si l’ultima mi si faccia un esempio in cui le Professionali fissano esse stesse il prezzo, questa è proprio buona! Forse l’autore ha confuso le organizzazioni professionali con le organizzazioni di prodotto!!! ed ha anche confuso una norma comunitaria (il pacchetto latte che obbliga alla contrattazione con le OP) con la normativa nazionale che obbliga la presenza di un contratto (cosa che evidentemente esiste solo in poche realtà).
Mi piacerebbe sapere quanti consumatori conoscono cosa significa IGP e se si fanno influenzare da ciò negli acquisti? E’ una domanda retorica la mia perchè so già la risposta: nessuno lo sa e l’IGP diviene solo una caterva di burocrazia. Un Brand ha senso se se ne sfruttano le potenzialità in caso contrario diviene un aggravio di costi per i produttori ed una “decorazione” per istituzioni e mondo politico.
Bravo Pino. Pino che semplicemente pone le basi fondamentali da cui cominciare a riflettere.
boh…
Egregio dott Guidorzi
Indubbiamente l’aggravio burocratico , soprattutto nel caso viticolo , ha raggiunto oramai livelli Kafkiani, tanto che è diventata oramai la principale fonte di costo di un azienda, e su questo credo che non possiamo essere smentiti.
Altresì le Denominazioni sono gestite dalla filiera intera che unitamente decidono il da farsi. Le rammento quanto successo recentemente con il Prosecco; nn è stato Zaia nè tantomeno Monti a decidere lo stoccaggio, semplicemente gli Industriali hanno evidenziato, sulla base dei loro dati, che c’è troppo Prosecco rispetto alle possibili vendite. Su tale previsione è stata poi presa la decisione. Se qualcuno vuol vendere un bianco frizzante può fare quasi tutto, se lo vuole vendere come Prosecco ci sono delle regole.
Quindi se una critica in tal senso deve essere fatta, oltre alla politica e alle professionali, deve essere estesa anche agli imprenditori siano essi produttori che venditori.
Pino
Io non mi scandalizzo che l’offerta da parte dei produttori sia regolamentata, In fin dei conti gli agricoltori ed i viticoltori non sono del benefattori dell’umanità sono degli imprenditori agricoli e la concentrazione dell’offerta ed il suo controllo sono una delle due armi, oltre alla produzione, che gli agricoltori hanno per salvaguardare e valorizzare i loro prodotti. Spesso però non sono loro a farlo, ma altri a cui ormai hanno venduto il prodotto a prezzi infimi. Ho appena diffuso su altri blog e lo faccio anche qui la concentrazione dell’offerta che avviene in Francia per appunto dimostrare che l’ Italia ha ancora molto da fare. Però se non l’ha fatto è colpa delle Associazioni agricole, che hanno sempre avuto paura a concentrare l’offerta.
In Francia vi sono 3220 cooperative agricole e danno lavoro a 150.000 persone e generano 80 miliardi di € di cifra d’affari. Ne cito qualcuna Socopa, Sodial Terrena, Tereos, Coopagri Bretagne, Cecab, Agrial, Unicopa, Limagrain, Cooperi, Champagne Cereales, Epis Centre, affinchè a qualche curioso sia possibile fare ricerche via internet.
Esse contribuiscono a cocentrare una grande parte della produzione agricola: 74% dei cereali, 94% dei maiali, 47% del latte, 62% dello zucchero (in Italia la cooperazione non è mai stata voluta nel settore bieticolo saccarifero e ne hai visto la fine che ne abbiamo fatto eppure le associazioni bieticole sono ancora li pretendere tangenti, inutile che mi si neghi che le quote associative per “disservizi resi” non sono tangenti!), 60% in pollicoltura, 49% nel vino, 35% nella frutta.
Per quanto riguarda gli acquisti di beni tecnici per le coltivazioni o gli allevamenti essi distribuiscono il 95% dell’inseminazione dei bovini, 70% delle sementi, 62% dei concimi, 62% dell’alimentazione animale e dei mangimi.
Vendono con marchi propri ecco i nomi, sempre per permettere ricerche su internet a chi ne vuol sapere di più: Banette, Francine, Jacquet, Castronome, Poulets de Loué, Matines, Candia, Yoplait, Richemont, Mamie nova, Florette, Paysan Breton, Prince de Bretagne, Beghin say, Daddy, Clause, Gamme vert ecc.
D’accordissimo, fatto salvo che in Italia c’è uno zoccolo duro di imprenditori che essi stessi rifuggono dall’aggregazione.
Ad ogni modo non disperiamo, in Italia(fonte confcoop) il 40% del latte (90% del Pamrigiano), il 50% del vino e il 30% della frutta è appannaggio della cooperazione. Il riferimento per la bieticoltura oggi è solo la Coprobi e le associazioni stanno scomparendo. Altra faccenda è nell’acquisto dei fattori produttivi (siamo nella preistoria) e nella fase di commercializzazione dove anche la cooperazione non riesce a reggere il confronto con la GDO, ed ecco perchè necessita ragionare con una contrattazione prima della vendita e nella quale sono vietate le pratiche di autopromozioni obbligatorie in dumping presso i supermercati, ma non sarà certo una passeggiata.
Pino
Il CoproB è sorto nel 1963 come costola del CoproA (quest’ultimo è andato a ramengo per insipienza gestionale). Al Coprob è stato impèdito di crescere proprio da ANB e CNB e ABI in quanto con la cooperazione sarebbero venute meno le loro quote associative (di cui una buona fetta andava in Confagricoltura, Coldiretti e Coop rosse e relativi partiti di riferimento). sempre pretese per “salvaguardia degli interessi dei bieticoltori”. Bella salvaguardia, infatti è l’unica struttura saccarifera che ha resistito. Non hanno mai permesso che al CoproB fossero assegnate quote zucchero confacenti alle potenzialità. Limitando il quantitativo di zucchero prodotto al netto dei costi fissi.
Vivo in zona Parmigiano Reggiano, ma le cooperative ed i caseifici sociali sono merito di persone di un secolo fa, non di quelle di adesso.