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Biomasse e sussidi, per sentito dire

14 agosto 2013

Cito da un articolo del prof. Giorgio Ragazzi sul Fatto Quotidiano, che sta ottenendo vasta diffusione sui social network, in cui si parla (finalmente) dei gravi effetti distorsivi dei sussidi alle energie rinnovabili:

È assurdo, ad esempio, continuare ad elargire sussidi regali alla produzione elettrica da biomasse quando chi conosce il settore sa bene che per far funzionare quegli impianti vengono molto spesso usati prodotti come il mais ed il conseguente aumento di prezzo finisce poi per far chiudere quelle stesse stalle che dovrebbero fornire la gran parte della materia prima.

E da quando in qua l’aumento di prezzo di una materia prima dovrebbe mettere in crisi chi quella materia prima la produce? Come al solito si affronta con superficialità un problema serio, e l’allievo di Francesco Forte si perde, nel telefono senza fili del sentito dire, alcuni passaggi fondamentali (non è la prima volta).

Ne abbiamo già parlato, e dato che è agosto inoltrato mi limito ad un copia e incolla da un post di 3 anni fa:

Provate a immaginare di possedere un allevamento di 220 bovini e 6000 suini, e che il fabbisogno di questi animali dipenda dai 400 ettari di terreno che avete in affitto. Provate ora a immaginare che il canone di affitto di questi terreni triplichi improvvisamente, passando da 500 a 1500 euro per ettaro, prendere o lasciare. E’ quanto è accaduto a Stefano Moscone, allevatore cremonese che ha raccontato la sua storia al Sole24ore, ed è un fenomeno sempre più diffuso in Lombardia.

Dietro a questo fenomeno c’è la bolla del biogas alimentato a incentivi. Sembra che produrre mais per buttarlo a fermentare coi liquami stia diventando un affare d’oro, e non c’è da stupirsi: per realizzare gli impianti si può contare su un contributo a fondo perduto del 30%, finanziato dalla regione con i soldi dei Piani di Sviluppo Rurale (un impianto per la produzione di biogas non sarebbe altrimenti un buon investimento: costa circa un milione di euro a MW, con una previsione di rientro di circa 12 anni).

Oltre all’aiuto iniziale, si può poi contare sul contributo per kWh prodotto, quello che ci viene salassato in bolletta, come per le altre rinnovabili. Grazie a questo contributo l’energia prodotta dal biogas finisce per costare cinque volte di più di quella prodotta con i combustibili fossili. Per finire, il fatto che le industrie debbano utilizzare una quota di energia rinnovabile ha indotto molte di queste ad investire direttamente nel settore: se produrre biogas è un affare, tanto vale farsi il proprio impianto, invece di acquistare l’energia, e magari venderla a chi non è arrivato in tempo.

Per fare questo, però, c’è bisogno di garantire ad ogni impianto il proprio fabbisogno di mais, ed ecco quindi che cominciano a fioccare proposte di affitto esorbitanti per i terreni agricoli, tanto paga Pantalone. Il risultato, tanto ovvio quanto prevedibile, è che Stefano Moscone dovrà pagare dall’anno prossimo 600.000 euro all’anno di affitti, e come lui molti altri si trovano a dover scegliere se chiudere oggi o provare a resistere fino a domani.

Non è certo una bella situazione, considerando il fatto che gli impianti a biogas dovevano, nelle intenzioni dei promotori dei finanziamenti, contribuire ad integrare il reddito delle aziende agricole, mentre ora sono una delle cause della loro crisi. Una situazione che presenta molte analogie con quella che, in molte zone del paese, vede le società che installano impianti fotovoltaici proporre canoni d’affitto stellari (fino a 4000 euro per ettaro) per un uso ventennale dei terreni (spesso proprio quelli migliori, pianeggianti e meglio esposti al sole).

Non è quindi un presunto aumento del prezzo del mais (prezzo che non dipende neppure in parte infinitesimale, peraltro, dal consumo per biomasse della Pianura Padana – non è mai troppo tardi per recuperare un briciolo di senso delle proporzioni) a mettere in crisi le stalle, ma l’aumento sconsiderato dei canoni di locazione dei terreni che gli allevatori affittavano fino ad oggi per un valore proporzionato al profitto della loro attività, e che oggi vedono triplicare. Forse il senso non cambia, nelle intenzioni dell’autore dell’articolo. Cambia il livello di credibilità, semmai la cosa stia a cuore a qualcuno.

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7 commenti leave one →
  1. 15 agosto 2013 02:43

    Non conosco la vicenda, però il discorso mi pare possa avere senso ..a parte la convenienza (ho dei dubbi) di fornire sussidi alla produzione di biogas (o anche al fotovoltaico).

    Può avere senso perchè viene utilizzata l’intera pianta, quindi tonnellate di materiale che non si può che coltivare in loco. Di qui la relazione diretta con la disponibilità di terreni e il costo del loro affitto.
    Poi bisogna vedere se le aree interessate dal biogas sono ben delimitate o diffuse. Se sono diffuse dubito abbiano influenza sull’affitto dei terreni, quindi la storia ha senso se riguarda specifici comprensori.

    Aggiungo: alcune aziende comprano anche mangimi, ma la porzione coltivata incide notevolmente sulla disponibilità di alimento.

    Il tizio di cui al sole 24 ore è di Cremona, comprensorio ad alta densità zootecnica. Cerco ora su Google: ‘biogas nel cremonese’ e vien fuori una lista di articoli tra cui uno segnala che il cremonese sarebbe la culla delle centrali. In definitiva il discorso dell’influenza sul valore dei terreni in una zona delimitata può avere senso. Riprendendo questo apprezzabile articolo, questo non esclude che non ci siano altre cause, ovvero che qualcuno ci abbia anche messo del suo per alzare gli affitti e prendere per il collo gli allevatori.

  2. 15 agosto 2013 02:45

    Non conosco la vicenda, però il discorso mi pare possa avere senso ..a parte la convenienza (ho dei dubbi) di fornire sussidi alla produzione di biogas (o anche al fotovoltaico).

    Può avere senso perchè viene utilizzata l’intera pianta, quindi tonnellate di materiale che non si può che coltivare in loco. Di qui la relazione diretta con la disponibilità di terreni e il costo del loro affitto.
    Poi bisogna vedere se le aree interessate dal biogas sono ben delimitate o diffuse. Se sono diffuse dubito abbiano influenza sull’affitto dei terreni, quindi la storia ha senso se riguarda specifici comprensori.

    Aggiungo: alcune aziende comprano anche mangimi, ma la porzione coltivata incide notevolmente sulla disponibilità di alimento.

    Il tizio di cui al sole 24 ore è di Cremona, comprensorio ad alta densità zootecnica, particolarmente la zona di Crema. Cerco ora su Google: ‘biogas nel cremonese’ e vien fuori una lista di articoli tra cui uno segnala che il cremonese sarebbe la culla delle centrali. In definitiva il discorso dell’influenza sul valore dei terreni in una zona delimitata può avere senso. Riprendendo questo apprezzabile articolo, questo non esclude che non ci siano altre cause, ovvero che qualcuno ci abbia anche messo del suo per alzare gli affitti e prendere per il collo gli allevatori.

  3. gianpaolo paglia permalink
    15 agosto 2013 08:41

    stessa cosa avviene con il fotovoltaico, per il quale mi trovo a pagare un conto salato in bolletta per sostener i benefici di chi, avendo impiantato mega impianti oggi si permette di fare agricoltura con un operaio che tiene pulito il terreno, e il resto delle produzioni agricole chissefrega. Risultato, io con 10 impiegati e una produzione agricola vera devo sostenere il mio vicino che non produce nulla e non impiega nessuno. Ottimo risultato.

  4. bacillus permalink
    15 agosto 2013 09:43

    Friuli Orientale, stessa situazione. Un allevatore di polli mette su un impianto a biogas e nel giro di un anno e mezzo fa man bassa di terreni in affitto. Acquista pure una trentina di ettari di frutteto che spianterà per metterci mais. Totale: oltre 400 ha di mais in monosuccessione.
    Caso personale. Due anni fa era la volta buona che mio suocero si decideva a dare in affitto a me i suoi 20 ha di seminativo, invece non ci ha pensato due volte, li ha dati al lui (ed alla fine glieli venderà pure).
    Benvenute, rinnovabili.

  5. Contrary_opinion permalink
    15 agosto 2013 10:35

    Le enrgie rinnovabili sono il più elevato grado di stupidità mai raggiunta dal genere umano!
    I biocarburanti sono anche peggio, etanolo o biodiesel sono abominevoli se pensiamo a quanto terreno serve per alimentare una centrale ad olio vegetale (1700 ettari di colza per 1 MW di centrale…e nella quasi totalità dei casi la termica va dissipata in ambiente).
    Proporrei di torgliere gli incentivi senza guardare in faccia a nessuno, ed in forma retroattiva pure, perchè rappresentano una vera e propria distorsione del mercato ed un furto alla collettività!
    Ogni cosa sovvenzionata ha portato a fallimenti clamorosi,.. come diceva Ringo Star, “tutto quello che lo Stato tocca si trasforma in merda”:

  6. Alberto Guidorzi permalink
    15 agosto 2013 11:21

    Ma guarda, di un problema largamente prevedibile se ne comincia discutere solo ora, quando ormai il danno è fatto. L’unico paese dove non era possibile sottrarre terra coltivabile al cibo era l’Italia. Possibile che solo pochi agronomi si accorgano che se c’era una coltivazione che lasciava biomassa da interrare per rifare un po’ di sostanza organica nei terreni era il mais ed ora invece tutto il mais che non va da granella questi apporti non li fa più. I fautori del coltivare biologico dove sono? Dovrebbero essere sensibili a questi problemi anche se non capitano in casa loro?

  7. 15 agosto 2013 13:05

    …non solo ma visto che le energie alternative servono per far volare la bolla di sapone del riscaldamento globale, presuntamente riducendo le emissioni di CO2, non si capisce per quale motivo non si accorgano dell’importanza in tal senso di interrare i resudui colturali, o quanto meno il letame prodotto dalle mucche si mangiano il silomais!

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