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Sì, in fondo siamo tutti un po’ oche

5 novembre 2014

C’è un sondaggio che viene ciclicamente riproposto, più o meno ogni anno, i cui risultati evidenzierebbero una certa ignoranza dei bambini in fatto di alimentazione:una bella fetta degli intervistati pensa che l’insalata cresca sugli alberi e che le uova vengano raccolte direttamente dagli scaffali dei supermercati. Si tratta di bambini, i risultati sono tutto sommato divertenti, e il sondaggio ha sempre, a ogni edizione, un buon successo sui social media, che sono i luoghi ideali per bullarsi del prossimo. Ma quei bambini, probabilmente, sono figli di quegli adulti che in questi giorni, grazie a un’inchiesta della trasmissione Report nel merito della quale non entriamo in questa sede, stanno cadendo a frotte dal pero alla scoperta che le piume d’oca provengono dalle oche.

C’è una distanza sempre più grande e profonda tra la grande massa dei consumatori e i processi produttivi dei beni a loro destinati. Una distanza prima di tutto fisica, quando si tratta di lavoro agricolo, lontano dalle città, o quando la produzione viene delocalizzata in un chissaddove qualsiasi, lontano dagli occhi come dal cuore. Una distanza che viene spesso colmata dall’idealizzazione di una realtà che non esiste, che non esiste o più o che più probabilmente non è mai esistita, assecondata dal marketing delle imprese che tendono a nascondere il lato meno commercializzabile delle loro produzioni. La realtà del Mulino Bianco, per capirsi, quella in cui Antonio Banderas parla con la gallina, i bambini corrono felici sui prati, c’è una mucca viola che fa il cioccolato, e in cui le piume d’oca… da dove vengono le piume d’oca?

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  1. Alberto Guidorzi permalink
    5 novembre 2014 20:54

    Ho aperto il Tassinari, vale a dire il “manuale dell’agronomo” III edizione del 1951.

    A pagina 1296 si parla dei prodotti ricavabili dall’oca quali carne, uova e piumino. e si legge:

    La spiumatura la si fa più volte all’anno, cosa non consigliabile per i riproduttori che invece vanno spiumati una sola volta all’anno. La spiumatura degli animali vivi si deve fare con delicatezza e limitata al ventre, al collo e al groppone. Il momento più propizio è il periodo che precede la muta, non si devono strappare penne non completamente formate, cosa che produrrebbe sangue e sofferenze. Dopo la spennatura si tengono gli animali per qualche giorno in ambiente riparato e si eviti che vadano nell’acqua.

    Meno male che la Gabanelli non era ancora nata altrimenti il Tassinari avrebbe subito le violenze degli animalisti radicali.

    Comunque questo è un lavoro che in campagna si è sempre fatto ed era una fonte di guadagno, non solo ma l’Ungheria era un paese grande produttore di piumino da sempre e le sponde del lago Balaton erano il luogo ideale.

    Se una volta il piumino e le piume in generale erano un’esigenza fondamentale per poter adattare i letti al non riscaldamento degli ambienti, ora si potrebbe anche fa senza, come si potrebbe anche far senza andare a sciare per dover indossare un Moncler o passeggiare per le vie dello shopping nelle giornate fredde e indossare un Moncler.

    Solo che è un prodotto di consumo che fa “in” e la Moncler si limita a soddisfarlo al minor costo. Mi pare che da stigmatizzare siano i consumatori attuali e non certo i produttori e la Moncler che risponde ad una domanda, questa si divenuta voluttuaria.

    Possibile che nessuno si sia chiesto da dove proveniva il piumino? LO scandalizzarsi è solo un atteggiamento alla moda, ma infingardo.

  2. 6 novembre 2014 10:24

    Grazie Alberto, interessante

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